sabato 26 maggio 2018

QUESTO




C'è una quiete che non ha più parole, che lascia andare, che lascia arrivare. Ha una radice profonda, nasce dall'aver attraversato la maschera, poco importa se propria o altrui. La maschera altro non è che il riflesso della bellezza che arranca per arrivare in superficie e appare al mondo con i suoi mezzi stentati, deformi, ancora ciechi. Non c'è nessun mostro, nessuna violenza, nessun tradimento, eppure chi ha attraversato vede bene, non si sbaglia, conosce alla perfezione la deformazione psicologica, il disequilibrio, l'anestesia. Ogni maschera dice a se stessa una bugia, non può fare altro, perché se vedesse la bellezza che l'origina, sparirebbe, diventerebbe uno con l'essenziale. La maschera ha il terrore di non servire più a nulla ed è questo l'errore fondamentale. Ogni giudizio o tentativo di cambiare la maschera non è che un ulteriore violenza, una lotta con ciò che è imprescindibile. Essere totalmente umani significa ripercorrere la corrente per accogliere nella propria forma difettosa e limitata la bellezza più sfolgorante che si possa immaginare. Un viaggio all'indietro come i salmoni. Arrivati alla fonte si depongono uova, la vita si libera, si ritorna nella linea della corrente. Facciamo nascere nuova vita abbandonando il conflitto che c'impediva di accogliere la maschera, propria o altrui. Non si chiede più nulla, ma si assapora la tenerezza per il limite umano che non può che essere così com'è. Le mani che hanno tanto tenuto la corda nel tentativo di gestire, di controllare, di avere, vedono nascere fiori proprio là dove l'attrito ha creato sangue. Si tace perché la luminosa ossatura del mondo precede qualsiasi analisi psicologica. Lo scheletro delle cose sostiene ogni manifestazione, anche la più deforme. Si sorride di fronte alla paura, tutto ciò che si è attraversato era il cuore dell'essenziale che voleva ricomporsi attraverso gli altri e le cose. La maschera e la bellezza giocano ad essere due e poi uno e poi di nuovo due. Non si viene più toccati, si tace, incapaci di spiegare, si dice solo: “Questo”, perché non sappiamo se ha davvero un nome.

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