lunedì 2 dicembre 2013

LA FORZA DELLA SEPARAZIONE








Nel processo di crescita, separarsi dalle proprie radici è forse il passo più potente e più degli altri capace di conferire potere, ma è anche quello più rischioso e che più spaventa, perché è connesso col profondo terrore di essere puniti, di essere scacciati dalla famiglia o esclusi dagli amici, e di non riuscire a trovare una nuova identità che sostituisca quella che si sta cercando di dissolvere.
Al tempo stesso dentro di noi sappiamo quanto sia vitale attraversare questo processo di separazione e ritrovamento di Sé.
E’ come se in noi ci fossero due parti che si muovono in opposte direzioni: una ci spinge a separarci per trovare noi stessi, l’altra vuole conservare la comodità e la sicurezza di ciò che è noto e familiare. L’interessante è che finchè non ci separiamo consapevolmente dalle nostre radici, continuiamo a mettere in atto il processo di separazione con le persone significative della nostra vita attuale, il che può essere estremamente dannoso per la nostra vita relazionale.
La separazione può cominciare con l’allontanamento fisico dalla famiglia di origine. O, ancora prima, con atti di ribellione. O può cominciare semplicemente con il percepire che qualcosa ci sta chiamando ….  Ma questi primi movimenti di allontanamento dalle nostre radici sono solo l’inizio del processo di separazione.
Perché la separazione diventi integrata e profonda, dobbiamo scoprire chi siamo e riappacificarci con il passato.
Anche se siamo fisicamente separati dai genitori e dalla famiglia, il legame – sottile e potente – ci influenza fortemente, soprattutto se non abbiamo ancora scoperto i nostri propri valori. Finchè continuiamo a vivere così come siamo stati condizionati a vivere e crediamo nei valori, nelle norme e nelle regole che ci sono stati insegnati, facciamo compromessi e non siamo nemmeno consapevoli di quanto influenzino la nostra vita.
Il passo più potente che possiamo fare per separarci dalle limitazioni del nostro condizionamento è prenderci dei rischi. Più precisamente, ciò significa assumersi il rischio di fare qualcosa che il nostro cuore amerebbe fare, ma che il nostro condizionamento ci dice che è sbagliato. O il rischio di fare qualcosa che ci è stato detto che non siamo capaci di fare, o che non sappiamo fare bene. Questi rischi apportano una forte acquisizione di potere. Liberano grandi quantità di energia intrappolata nel nostro sistema ed espandono la nostra visione e il senso del sé.
Il momento in cui la nostra autostima smette di dipendere dall’amore e dall’approvazione di coloro che ci hanno cresciuti costituisce una pietra miliare nella nostra vita.
La nostra parte ferita forse non cesserà mai di volere l’amore e il rispetto che non ricevemmo, ma ad un certo punto possiamo realizzare che coloro cui ci siamo rivolti per ottenere quel nutrimento non possono darcelo nel modo in cui ci è necessario, e scoprire che possiamo trovare l’autostima indipendentemente da loro.
Finchè ci aspettiamo qualcosa da coloro che ci hanno cresciuti, continueremo ad andare da loro come bambini, finendo nella stessa trappola. Ne verremo fuori con un sentimento di vergogna, stanchi, depressi, senza amore per noi stessi e, ancora una volta, avremo rafforzato un’immagine di noi pieni di vergogna.
Se ci avviciniamo alle persone che ci hanno cresciuti come individui che non si aspettano niente da loro, allora il nostro cuore potrà aprirsi. Potremmo allora vedere i nostri genitori per ciò che sono, con tutte le loro limitazioni e i loro difetti, semplicemente come esseri umani che fanno il meglio che possono.
Non è un ruggito da leone che può far ritrovare il rispetto di sé e la fiducia. La ribellione è come una carica esplosiva che ci dà la forza di spezzare una situazione. Ma una reale acquisizione di potere è possibile solo se , oltre che separarci dalle nostre radici, onoriamo ciò che abbiamo imparato e ciò che abbiamo ricevuto da esse.
E’ necessario separarci per crescere. E’ necessario separarci per non sentirci separati.
Uscendo dalla fase di ribellione cominciamo a provare gratitudine per coloro che sono venuti prima di noi e li vediamo per ciò che sono. In molte maniere, inconsce e consce, le nostre vite, e le nostre personalità sono state profondamente modellate dai nostri genitori. Che ci piaccia o no, che ne siamo consapevoli o meno, in molti modi continuiamo a portare il vessillo.

Riconnettersi con la nostra eredità significa lasciare alle spalle il dolore preparando terra nuova perché i semi della nuova consapevolezza di sé possano germogliare.

Tratto da:











Krishnananda – Amana  ”Fiducia e sfiducia” Ed. Feltrinelli

lunedì 16 settembre 2013

idiozia d'autunno




Non sapere. Essere arrivati al capolinea delle proprie ricerche di crescita personale con l'impressione di essere gli stessi idioti di quando si era cominciato, trovarsi senza soluzione e chiedersi se ciò che si ha fatto ha un senso, é un momento interessante. L'idea di trovare l'amore della propria vita, di diventare ricchi, di realizzarsi professionalmente o di raggiungere l'illuminazione, crollano miseramente. Si rimane seduti per terra a guardarsi i pollici che sono gli stessi di vent'anni prima, sono solo più vecchi e ci si chiede il senso di tanto cercare.  Cercare cosa? Perché? E sopratutto per chi? Non rispondo all'ultima questione, perché quel "chi" è il centro della faccenda, una questione che è stanca di se stessa... finalmente.
Dunque, nella meravigliosa e  frenetica ripresa d'attività di quest'autunno, la mia attenzione va a quelli seduti per terra, a chi non farà proprio niente, nessuno stage, nessuno yoga purificatore, nessun coaching verso il successo, nessun miglioramento personale. Chi resta a guardarsi i pollici è senza soluzione.. e infine questa è la più grande liberazione che possa accadere, nessun obbiettivo nutre più la domanda, nessuna reazione allontana dalle emozioni reali, nessuna questione viene più deformata dal tentativo di trovare una risposta. La domanda resta libera di vibrare nell'aria, si polverizza e cade a terra, in quella terra in cui si resta seduti incantati dalle proprie dita, stupiti dalla vita intera che si manifesta perché non si hanno più domande che filtrano l'esistenza, non si ha più una vita da salvare, si rimane con  quella che ci è stata data e finalmente la si vive.. esattamente così com'è. Poi magari comincia anche a piovere e siamo senza ombrello, allora ci si accorge che stranamente non ci viene più il pensiero che siamo sfortunati e che la vita ce l'ha con noi, semplicemente piove ed è la stessa cosa che ci si alzi per cercare riparo, o per godersi l'acqua e danzare.  L'esperienza vitale si allarga comprendendo esperienze che mai ci era si era permessi di fare, ci si può anche permettere di essere gli stessi idioti di  sempre ed accoglierlo con stupore. A quel punto lo yoga, il corso d'evoluzione personale, il marito, la carriera, non sono più oggetti d'afferrare, ma occasioni per condividere ciò che c'è al fondo dell'idiozia, un'intelligenza naturale che vibra allo stesso ritmo della vita, che si espande e si contrae come il cuore delle cose.

mercoledì 28 agosto 2013

massima di fine estate





"Loro mi ritengono pazzo perché non sono disposto a 

vendere i miei giorni in cambio d'oro.

Io ritengo loro pazzi perché pensano che i miei giorni 

possano avere un prezzo".

K Gibran






lunedì 24 giugno 2013


scultura di Mauro Franchi



In questo post desidero liberarmi dal vestito di dottoressa e scrivere come donna che desidera condividere il proprio percorso più personale. Scrivendo queste parole penso sopratutto alle donne perché impellente e necessaria è la spinta del femminile in questo secolo. Non sto a fare un'analisi storica o psicologica della condizione femminile, ma è chiaro che mai come in questi anni la donna ha la possibilità e la coscienza di scoprire la propria parte mancante, che non è un principe azzurro, ma una primordiale intensità presente nella sua sessualità. Esiste un filo antico e mai del tutto spezzato che continua nel tempo nonostante secoli di d'annientamento, di disordine, d'adattamenti obbrobriosi, mai come ora si ha l'occasione di valorizzare ciò che è tipico del femminile, di portare alla luce la coscienza ancestrale che passa attraverso il corpo restituito all'eros. Si perché eros e corpo sono tutt'uno ed entrambi sono superati da se stessi. Corpo ed erotismo sono l'incarnazione dell'amore e nello stesso tempo non sono che strumenti perché ricordiamoci che è il corpo ad essere messo in risonanza dall'intensità dell'esistenza, il contrario non esiste. Eros e agape sono uno intrecciato all'altro, solo la mente può dividerli, ma per il corpo sono la stessa cosa. Non c'è in questo post nessuna avversione verso il maschile, anzi, l'uomo è la controparte esaltante di eros, ma credo che ci sia un'urgenza tutta femminile di riscoprire la propria ombra sepolta da secoli di convenzioni e adattamenti, la parte oscura del femminile è sempre istintiva, erotica e aggiungerei una parola che fa paura: potente. E' l'intuizione di tale potenza che ha provocato e provoca la violenza, la paura, la banalizzazione da parte di entrambi i generi. Ciò che è potente viene temuto se è sconosciuto, l'unica via è portare alla luce e condividere. E' una grande opportunità scoprirsi donna tra altre donne, diventare consapevoli attraverso lo specchio, e poi aprire al maschile portando in dono la coscienza, mettendo in gioco ciò che forse c'è di più prezioso, un corpo erotico che supera se stesso e s'annienta nella gioia.










giovedì 4 aprile 2013

QUALCOSA DI NUOVO


 " C'è un altro mondo ed è in questo" P. Eluard
foto di jean Bouchart d'orval


Piove, eppure è primavera, lo dice l'ora legale che porta più luce alle giornate falso-novembrine. Fa freddo, tuttavia nei momenti di tregua fa capolino un sole tiepido che fa restare a maniche corte. Lo dicono i profumi, c'è odore di miele nell'aria, non è così a fine novembre, in quel mese solo odore di crisantemi, che poi non hanno alcun profumo, e il colore arancione delle zucche. A volte nella vita ci si sente così: si è ad aprile, ma intorno sembra inverno e si comincia a credere che il grigio sia il solo colore esistente, l'unico concesso dal mistero del tempo. I cappotti restano sull'attaccapanni, gli ombrelli sulle porte d'entrata e si vaga storditi tra improvvise gemme che confondono i mesi e le percezioni. Questa primavera bizzarra mi fa pensare a certi passaggi provocati dalle costellazioni familiari o da altri percorsi, in cui tutto è pronto, ma apparentemente nulla si muove. Mi chiedo se questa “pigrizia della coscienza” non sia a volte una forma di protezione perché noi, a differenza della terra che sboccia sempre e comunque, abbiamo un'atavico terrore della pienezza e dello splendore, alla pari dei misteri atmosferici, creiamo nuvole in pieno maggio. Non lo so perché ad aprile continua a fare freddo e qualsiasi spiegazione meterologica non farà uscire il sole, ma intuisco quell'altra paura, quella che fa indietreggiare di fronte al troppo, troppo bello, troppo buono. Il “troppo” è la paura fondamentale dell'essere umano, essere più di ciò che si è, o forse essere semplicemente ciò che si è, facendo cadere petali invece che grandine.
Si resta un po' addormentati, come il mercurio del termometro che non sale più di tanto, si è come fiori che tentennano attraverso la gemma. Siamo petali nel bocciolo protetti dalla primavera che siamo. Chi lo sa se il fiore prova dolore quando sboccia. Me lo sono sempre chiesto. Sembra facile essere una rosa quando i petali sono già aperti, ma che ne sappiamo noi veramente di cosa vive un fiore nel suo diventare primavera? Dove terminano i petali? Forse anche il calice che l'ha riparato è essenziale ? La protezione del fiore assomiglia alle nuvole d'aprile. Sono in risonanza con gli elementi naturali, provo empatia con la bizzarria del tempo, c'è compassione per il fiore nel calice. Non credo che nessuna analisi possa risolvere la sostanza della natura grigia, eppure a volte le cose sono molto, molto, semplici. Si può vagare nella pioggia che non smette, farsi mille domande sul processo dei petali, oppure  affidarsi alla mutazione del fiore, intuendo che forze più grandi stanno agendo e concorrendo alla sbocciare naturale di chi sono. C'è una risata che arriva, perché il 21 marzo è passato da un pezzo ed abbiamo ancora il maglione di lana, e allora si ride perché le cose più grandi non dipendono dalle date umane, l'unica cosa certa è che la primavera arriva sempre, è inevitabile.


PS:"I limiti del nostro successo dipendono dal movimento della coscienza che ci spinge ad avere di meno invece che di più: più successo, più felicità. Questo significa in cuor nostro che se abbiamo meno successo sentiamo di avere la coscienza pulita, mentre se abbiamo successo, sopratutto se ne abbiamo molto, sotto sotto sentiamo di avere la coscienza sporca."
Bert Hellinger





mercoledì 2 gennaio 2013

Gioia









Vous devez être un peu fêlé pour laisser passer la lumière

Dovete avere delle crepe per far passare la luce



Ci sono delle fessure che ci attraversano come piccoli movimenti che destabilizzano poco la struttura che ci appartiene. Altre volte delle profonde crepe minano alla base la personalità, in quei casi ci vuole tempo per superare le resistenze, siamo obbligati a fare un viaggio all'interno delle fessure facendoci condurre dalla materia che cede e si modifica d'istante in istante. Ciò che rallenta il viaggio è un pensiero che s'impone più forte degli altri: " la realtà è ingiusta, le cose non sarebbero dovute andare cosi'". Ogni volta che la visione della realtà viene percepita come un male stiamo bloccando il viaggio, ci percepiamo differenti dalla materia in movimento, entriamo nell'illusione cercando di controllare l'esistenza. Nessuno può controllare gli avvenimenti, niente può evitare l'impatto con la realtà della vita, la nostra potenza nasce e si sviluppa grazie all'incontro con ciò che è al di là del nostro controllo.. la crepa modifica la struttura, un presentimento s'insinua nello spazio vuoto, la coscienza comincia ad attraversarci. E' importante comprendere che non esiste un modello corretto adatto a tutti, ognuno di noi ha la sua forma e la sua evoluzione, ma c'è un elemento che può aiutare il processo d'impatto con la vita: la gioia. Cos'è la gioia? Come arriva? Si può vivere senza? Guardando l'etimologia greca della parola si osserva  che il significato corretto  può essere definito come :"movimento dell'anima ben accordato alle cose"1. In latino la parola gioia assume  il significato di gioiello. Dove abita in noi questo gioiello, in quali occasioni lo sfoggiamo? Quando resta dimenticato in un cassetto ? Come possiamo vivere la distruzione e la gioia? Non sono forse antagonisti? Si, per la nostra testa non c'è dualità più grande  che tra bene e male, tra piacere e dolore.. ma anche questo è un tentativo di controllo illusorio perché là dove c'è la crepa nasce il sentore di un altro modo. Ritornando all'etimologia della parola gioia ci si riferisce ad un movimento ben accordato alle cose, ossia a qualcosa che fluisce facilmente,  qualcosa che non ha in sé il pensiero:" la realtà è ingiusta." Un movimento ben accordato ha in sé la forza di essere tutt'uno con la crepa che sta distruggendo. Questo non vuol dire farsi divorare dalla depressione o dall'inerzia di fronte ad un fallimento emotivo o finanziario, ma agire senza porre limiti al possibile, significa osare andare al di là della nostra concezione del bene e del male, vuol dire  essere sé stessi senza sapere in anticipo chi siamo e cos'è la realtà, significa giocare accettando d'illuminare un po' di più la vita e le relazioni che ci attraversano. Indossiamo dunque il gioiello, all'inizio timidamente, dubitando,  sprofondando nella tristezza e nella paura, poi dimenticandosi d'averlo al collo perché non abbiamo più bisogno di alcun ciondolo per evitare la paura di vivere.






1) Maria Luisa Gatti, Etimologia e filosofia, V&P Milano