martedì 19 gennaio 2016








DIAPASON E INDEGNITÀ
Molta parte del lavoro di uno psicoterapeuta o di un counselor consiste nell'ascoltare ciò che un paziente considera indegno. Per qualcuno può essere un difetto fisico, per altri una fragilità emozionale, oppure un vissuto traumatico. È affascinante contattare il castello costruito a difesa della propria "indegnità". Quando si ascolta si crea una sorta di relazione silenziosa in cui ciò che è attivo non è il messaggio delle parole, visto che chiunque evita di toccare il cuore della propria indegnità e lo fa chiacchierando del nulla, oppure presentando subito la propria parte "cattiva" come un problema da analizzare. Ciò che si attiva è una sorta di accordo comune che si orienta verso il diapason del reale. Se le difese lo consentono si arriva velocemente ad esplorare la violenza nascosta, la fragilità, la rabbia, ovvero quel corredo emozionale che non respira da anni e di cui ci si vergogna. La vergogna viene spesso definita l'emozione ultima riferendosi alla sua funzione di spartiacque: c'è una parte di noi che esponiamo alla luce con cui affrontiamo il mondo ed un'altra che nascondiamo. La vergogna è il limite tra una parte e l'altra. Una volta superato il confine ciò che accade è sorprendente. Ci si rende conto che nulla è indegno. È un capovolgimento profondo dello stare al mondo, una vera rivoluzione silenziosa che accade semplicemente perché non si ha più nulla da nascondere, ovvero, l'impulso della vergogna ha diminuito la sua forza e questo semplice fatto ricrea un universo in cui bene e male, giusto e sbagliato, degno e indegno, assumono un valore relativo. Si sperimenta allora un mondo abitato dalla vibrazione silenziosa che muove il corpo e tiene in vita. Ci si accorda al diapason della realtà in cui ogni cosa è com'è, cioè neutra, ciò che la rende aliena o, pericolosa e distante, è il giudizio, ovvero un accordo stonato.