Lavoro
con le persone da più di vent'anni, ho una laurea ed un master post
universitario, mi confronto costantemente con i miei colleghi per
evitare un approccio professionale auto-referenziale, sono docente
d'alta formazione, affino le tecniche che applico giorno dopo giorno,
eppure ho la convinzione profonda che tutto questo sapere sia uno
specchietto per le allodole perché ciò che permette la svolta ha
poco a che fare con l'approccio tecnico-psicologico. So che quanto
sto per scrivere irriterà più di un collega, ma sento necessario
per me stessa e per chi mi contatta per motivi professionali,
spiegare il più chiaramente possibile ciò che sopra ho accennato.
Credo che nella crescita umana ci siano diversi stadi:
- l'anestesia emozionale e di pensiero
- l'accorgersi che qualcosa non va
- il cercare di comprendere cosa sta accadendo
- Il rendersi conto che capire non salva dall'impatto con le emozioni
- il franare
Non
voglio parlare dei primi stadi, chiunque stia cercando di fare
qualcosa per sé stesso e per la propria vita, da solo o con l'aiuto di
qualcuno, sa di cosa sto parlando. Mi vorrei concentrare sul
“franare.” Esiste un momento nei tanti percorsi di crescita, in
cui ci accorgiamo che la tecnica non funziona più, che l'analisi che
mi ha fatto comprendere come agisco diventa una struttura priva di
senso, in cui l'emozione insopportabile che mi ha portato nel
percorso è di nuovo tra le mie mani, esattamente come all'inizio del
cammino. Sono istanti preziosi, in cui un sano dubbio s'insinua nella
necessità di risolvere. Cosa sta veramente accadendo? Qual'è il
punto di cambiamento? E' la tecnica che non funziona più, oppure è
qualcos'altro? E' un momento capitale, uno dei più preziosi. La
struttura psicologica è come il tronco di un albero, può subire
piccole modificazioni, ma un albero non può diventare un filo
d'erba. Fino alla fine dei nostri giorni saremo esattamente
quell'albero, con quelle precise caratteristiche, l'evidenza delle cose può farmi integrare la banalità del reale: non posso più
nulla, né contro, né per me stesso. La guarigione s'insinua quando
finalmente lascio andare ogni pretesa su come sono e chi sono, quando
ho esplorato così tanto il mio paradigma psico-emotivo da
comprendere che non né uscirò mai. L'analisi è senza fine, la
tecnica, anche la più avanzata, riporta in luce lo stesso punto
iniziale. Di fronte a tale sconcerto ecco che forse avrò finalmente
il coraggio e la possibilità di essere in faccia all'emozione da cui
si sta fuggendo, la lascerò finalmente respirare, esprimersi, le
permetterò di condurmi all'integrazione della mia umanità. Sono ciò
che sono, senza più alcun impulso di modificazione, nascondimento,
miglioramento. L'adesione alla mia umanità conduce a “franare.”
Se
io non posso nulla per me stesso, allora forse è il caso di mettere
da parte la piccola volontà ed accorgermi che qualcos'altro sta
agendo, qualcosa che non so definire, né con le emozioni, né con le
parole. E' una vibrazione che si manifesta delicatamente nel sentire,
un senso di pace, di gioia, di libertà. Dove termina la mia volontà,
inizia uno spazio vitale in cui abbandonarmi al mistero che mi fa
essere esattamente come sono. Guardando indietro comprendo che ogni
avvenimento della mia vita è stato funzionale al cedere, al
ritornare “stupidi,” cioè senza necessità di dare spiegazioni
illuminanti sui fatti della mia e altrui vita. Non ho più bisogno di
comprendere, perché inizio a risuonare con ciò che accade e con
gli altri e questo è infinitamente più piacevole e creativo.Dunque, ritornando alla mia professione, posso dire con tranquillità che ho sufficiente esperienza per usare le tecniche che mi vengono richieste con precisione e competenza, ma se mi contattate sappiate che non sarà questo il motore del percorso e non perché io abbia qualche elemento geniale da proporre, ma perché c'è sempre sufficiente spazio vuoto per sentire ciò che si è, per rischiare di essere in comunicazione senza letture psicologiche e questo, a volte, è oltremodo scomodo ed insopportabile.