lunedì 3 settembre 2012

Cosa accade durante una seduta?


foto di manuel Cafini - Movimento


Cosa accade  durante una seduta e quali caratteristiche deve avere chi lavora nella relazione d'aiuto? Preparazione tecnica? Empatia? Capacità di non confondersi con la problematica dell'altro?

Saper ascoltare ed intervenire in ugual misura? Ciò che sto scoprendo  è qualcosa che non mi aspettavo e che mi lascia piacevolmente sorpresa. Nella  mia professione ho cominciato condividendo il  sapere, fresca di master post- universitario  ho scandagliato per anni con una specie di "microscopio mentale" l'inconscio di chi mi stava davanti, generalmente individuavo velocemente il" virus".. ma con il tempo ho scoperto che nonostante tutti i miei studi e la mia acutezza, l'agente patogeno continuava indisturbato a volteggiare nell'inconscio di chi osservavo, anzi, spesso il virus diventava più forte per il solo fatto di essere stato osservato. Era un po' come scoprire un virus molto narciso che come un primo attore diventava più forte quando si parlava di lui, ogni discorso diventava un applauso a cui lui s'inchinava gongolando. Ho creduto allora di aver sbagliato mestiere, ho pensato di non essere capace, mi sono  tolta dalle scene e per anni ho fatto tutt'altro per vivere. Nel tempo libero  esploravo quella strana cosa che è un essere umano attraverso altri modi, apparentemente lontani dal microscopio occidentale. Lentamente, a forza di curiosare, esplorare, toccare me stessa e l'altro, ho percepito che una sorta di "densità" mi permetteva di tornare a fare il mio mestiere. Il virus non era più qualcosa di esterno, su cui mirare e fare fuoco, era un elemento, neppure tanto importante, della meravigliosa interezza di chi avevo di fronte e di  me stessa. Ho cominciato allora a lavorare condividendo l'esperienza, cioè quel qualcosa di solido, ma non ben definito, che permette all'azione giusta di presentarsi da sola. Nel setting il virus appariva volteggiando sullo sfondo come una comparsa e non più come primo attore. Era l'integrità dell'altro a dirmi cosa fare, il "paziente" era già sano, non era mai stato "malato", ma aveva bisogno di uno specchio neutro, di qualcosa o qualcuno che non si facesse sedurre dal virus, ma che sapesse danzare con lui. Ero sorpresa da chi incontravo e trovavo ogni problematica misteriosa nella sua manifestazione, una sorta di problema auto- risolto, una perfezione imperfetta, una tensione verso l'evoluzione naturale di se stessi. Ed in questa modalità, che continua tutt'ora, si sta insinuando un altro elemento che mai avrei sospettato: la vulnerabilità. Esiste un momento in cui qualcosa di noi stessi  sfonda una porta, qualcosa cede e si accetta di toccare e di essere toccati. Si sente di partecipare a quel qualcosa che appartiene al fondamento di un essere umano, si è attraversati  dalla propria, e dall'altrui emozione, per essere più precisi si potrebbe dire che si entra in vibrazione con ciò che  è all'origine di qualsiasi emozione, e con una grande umiltà si dice si al movimento delle cose, ci si accorge cioè che l'unica guarigione possibile è abbandonarsi, lasciarsi attraversare, cambiare, divorare, dal movimento del presente.
Cosa c'entra questo con la relazione d'aiuto e la professionalità? C'entra nella misura in cui io non intervengo più giustificata dal mio ruolo di professionista, a inquinare, confondere, mitigare, un movimento che è molto vasto e che di certo la sa più lunga di me e delle mie tecniche. C'entra nella misura in cui la seduta diviene un luogo dedito all'ascolto ed alla creazione impersonale, un luogo in cui gli agenti patogeni fanno sorridere perché ci si accorge che c'è una grande corrente e se chiedete al movimento cosa sono i virus non sa cosa rispondere perché non li conosce.